Una domanda che ci facciamo sempre è questa: come facciamo a sciogliere questo nodo che ostacola da anni la vita di tutti noi? Ebbene, oggi siamo qui per cercare di scoprire come, secondo noi, si può sconfiggere la mafia.
Per partire vorremmo ricordarvi due grandissimi uomini che lottarono contro la Mafia: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono stati davvero degli eroi che hanno dimostrato, dopo tanti anni in cui la gente sottostava agli ordini dei mafiosi, di non aver alcun timore nei loro confronti; loro ci hanno portati verso quello che, ci auguriamo, sarà il distacco del rapporto fra cittadini e mafiosi e verso la speranza che un giorno, magari lontano, questi ultimi si pentano per tutti quei morti, non aventi nessuna colpa, che non potranno più aprire occhio. Noi sappiamo che ci guardano dall’ alto e sperano che il sacrificio da loro compiuto rimanga sempre in ogni cuore.
Speriamo che la presentazione di questo articolo possa coinvolgervi, facendovi rimuginare sugli errori compiuti in passato, trovando la soluzione (o quasi) a questo problema, che al giorno d’oggi sembra risolto, ma che in verità, come una piovra, prende sempre più potere passando inosservata agli occhi dei giornalisti, ma anche nostri.
Per i genitori: anche se è un argomento che ci demoralizza, i genitori hanno l’obbligo di parlarne ai figli, istruendoli a lottare per sciogliere questo nodo, facendo sì che i ragazzi possano vivere in un mondo migliore.
Per i ragazzi: non dobbiamo lasciarci attrarre da personaggi incivili, ma seguire le regole in qualunque posto siamo, apprendere gli insegnamenti che ci vengono dati a scuola e dai genitori, e disprezzare chi infrange le regole e mette in pericolo la vita di tutte le persone.
Diamo forza al nostro impegno: partecipazione attiva per lottare contro le mafie.
Per non morire di mafia:-Io parlo.
Queste parole, pronunciate da Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, ora Presidente del Senato della Repubblica Italiana, sono ricche di significato e sanno trasmettere un messaggio limpido e chiaro, quello della comunicazione e della legalità.
Oggi parliamo di “mafia” e il pensiero è certamente rivolto a degli “angeli” che ci hanno donato la loro vita per una nazione più libera e più legale. Riporto il pensiero della professoressa Maria Pia Ciani, la quale durante l’apertura di un incontro con dei giovani studenti ha così affermato: “Educare alla legalità è educare alla bellezza.”
Vogliamo mettere in pratica l’insegnamento di un altro grande magistrato, Paolo Borsellino:- La vera lotta per la libertà è un movimento culturale e morale”.Continuando, poi, così si è espressa: “Possono uccidere gli uomini, ma non le loro idee e vedere tanti ragazzi, oggi, lo dimostra. Stiamo andando nelle scuole per parlare di legalità con quella che Papa Francesco chiama la “primavera della società”.
Correva il mese di maggio del 1992, quando Giovanni Falcone fu nominato Direttore della Procura nazionale antimafia. Borsellino, che era rimasto in Sicilia, esultava, come pure Grasso. La loro comune azione poteva riprendere con rinnovato vigore. Qualche tempo prima, nel corso di un’intervista, Falcone aveva dichiarato: «Si muore generalmente
perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere».
Il 23 maggio 1992, all’aeroporto di Palermo, Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo scendono dall’aereo proveniente da Roma; li aspettano le tre auto di scorta. La Croma marrone apre il corteo: a bordo tre agenti di polizia, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro; al centro la Croma bianca, Falcone dice all’autista di passare nel sedile dietro, e si mette alla guida a fianco della moglie; chiude il corteo una Croma azzurra con altri tre agenti della scorta.
Dopo pochi chilometri d’autostrada, nei pressi di Capaci, un uomo che poi si scoprirà essere Giovanni Brusca, detto “scannacristiani” per le oltre 150 persone da lui uccise, azionò il timer collegato a 500 chili di tritolo posizionati sotto un canalone. Un boato spaventoso aprì una voragine sulla strada: morirono i tre agenti sulla prima auto, il giudice e la moglie.
Sono passati 57 giorni dalla morte di Falcone. Il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino, dopo aver trascorso una giornata al mare, rientra a Palermo per andare a trovare l’anziana madre in via d’Amelio. Con lui gli agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
Il giudice scende per citofonare alla madre, cinque agenti si posizionano intorno a fargli da scudo, un sesto agente (Antonio Vullo) si allontana in retromarcia per parcheggiare una delle due auto. Dall’alto del Monte Pellegrino, che sovrasta la città, parte il comando a distanza che fa esplodere una Fiat 126 imbottita di tritolo: una fiammata, un cratere. Muoiono tutti, eccetto Vullo. I due “eroi” hanno pagato con la vita il loro impegno contro la mafia. Hanno istituto il maxi processo sapendo che i mafiosi prima o poi si sarebbero vendicati.
Pietro Grasso, in un incontro con delle scolaresche vicentine, ricordò con affetto i due amici magistrati, esternando alla platea che entrambi sapevano di morire, ma lo hanno fatto con dignità per donare a tutti noi un’Italia migliore. In quell’occasione, egli era il Direttore della Procura nazionale antimafia, così affermava: “Dobbiamo fare in modo che i vostri cervelli rimangano nella nostra terra: non nella terra dei fuochi, ma nella terra delle gioie“.
Il racconto e l’invito a tutti noi giovani è stato importante; infatti, egli ha raccontato dal vivo come operavano assieme per le indagini. Toccante è stato quando ha parlato e mostrato un effetto personale di Falcone, l’accendino regalatogli prima della partenza per Roma. Vedere l’oggetto nelle mani e sapere dalla viva voce del magistrato che Falcone era conscio del pericolo che correva, ha trasmesso a noi giovani la forza e la voglia di parlare e di non essere succubi della organizzazione mafiosa.
Sono passati quasi 4 anni da quell’incontro, però il ricordo è ancora vivo nella persona che ho conosciuto e che mi ha raccontato l’energia trasmessa dal magistrato. Sono persone come noi, che vestono divise diverse, che sono in prima linea per debellare la mafia a tutti i livelli, ma tutti hanno una cosa in comune: la legalità attiva e pura per garantire un futuro migliore alle generazioni.
Gli uomini della scorta sono gli angeli custodi dei magistrati in pericolo, anch’essi sanno quanto è importante proteggere il loro “uomo”. Sanno che la loro vita è legata alla persona “protetta”, sanno che in qualsiasi momento potrebbe succedere l’imprevisto, eppure sono sempre al suo fianco ed orgogliosi di essere loro a protezione della persona.
Questo pensiero è sicuramente importante per noi giovani; dobbiamo riuscire a sconfiggere le tendenze mafiose che si radicano anche nei
nostri territori e con l’arma della legalità e soprattutto della partecipazione attiva possiamo dare alla nostra nazione un futuro migliore, di gioia e sicurezza globale.
I magistrati ricercano nella fitta rete dell’omertà gli indizi altrui al fine di costruire un giusto processo per un’equa pena.
Lottare per vivere non vuol dire sottostare alla mafia; denunciare una minaccia è un primo passo verso un miglioramento. Rispondere ad una minaccia obbedendo serve solo a convincere i mafiosi che il loro intento è stato raggiunto e che il loro potere coercitivo si è concretizzato. Essi governano tutti coloro succubi dei loro ordini e che ossequiano ogni loro imposizione.
Mi ritengo fortunata per aver conosciuto persone, queste persone che mi hanno trasmesso le loro esperienze di vita e di sacrificio.
Essi spiegano a tutti noi che la mafia esiste e per debellarla bisogna parlarne, discutere, reagire. Il silenzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali si riorganizzano e la pericolosissima simbiosi di mafia, economia e potere si rafforza.
I silenzi di oggi siamo destinati a pagarli duramente domani, con una mafia sempre più forte, con cittadini sempre meno liberi.
Grazie per aver letto questo articolo, speriamo abbia lasciato un segno indelebile e che cercherete anche voi, come noi ragazzi, la strada per distruggere questa cellula negativa che, se vivrà ancora a lungo, potrebbe causare danni ancora più grandi di quelli che ha causato in questi anni. Assicuratevi inoltre che in ogni scuola ci sia una istruzione contro la mafia, altrimenti anche le generazioni successive verranno attaccate da questo virus, in altri complotti contro l’umanità.
Simonato Martina e Zocca Arianna